Per Simone.


Per Simone dal Passatore e da Stefano Montanari che così scrive sul suo blog:
"Il 24 prossimo sarò a Faenza, al Pasta Party che dà inizio all’attesa per la 100 Km del Passatore, la corsa che da Firenze arriva, per chi ce la fa, a Faenza.
Ci sarò per il premio che Simone Grassi, l’amico maratoneta che ora corre dove vivere ha un altro significato, ha voluto che chi è restato qui indicesse. L’ha voluto e ha voluto che i proventi eventualmente ricavati dal suo strano, bellissimo libro “Lo zen, la corsa e l'arte di vivere con il cancro” e dalle manifestazioni che ora cominceranno ad essere legate al suo nome servissero ad aiutare la nostra ricerca, quella ricerca così fastidiosa per i complici della morte.
Noi non ce l’abbiamo fatta ad aiutare i medici a salvare Simone. Chi non se la sente di girarsi dall’altra parte ci aiuti a far sì che l’eredità di Simone non vada sprecata.
Quello che segue è il comunicato stampa che ho scritto per l’occasione:

Simone lo conobbi anni fa. Lo conobbi a Dublino, all’università in cui lavorava e, di primo acchito, tutto avrei pensato di lui tranne che fosse un maratoneta. Non aveva il fisico. Atleta sì, magari calciatore o ciclista, ma i maratoneti sono fatti come me che maratoneta ero stato un po’ di anni e di chili prima.
Il feeling tra noi scoccò immediatamente. Non saprei dire perché se non che i maratoneti si percepiscono reciprocamente in modo ignoto alla scienza e di essere mangiatori di sudore ce lo dicemmo dopo sì e no un’ora da che ci eravamo visti per la prima volta senza che l’argomento avesse una qualunque attinenza con quello per il quale ci dovevamo incrociare.
L’incenerimento dei rifiuti, l’inquinamento che ne deriva, le malattie. La morte no. Di morte non parlammo. Simone era l’esatto opposto della morte. Lui sprizzava vita da ogni poro e il suo sorriso simpatico ne era la firma.
Ma io a Dublino ero stato chiamato per non far aprire un enorme inceneritore che avrebbe appestato la città. Simone e i suoi amici non lo volevano quel coso, combattemmo insieme  e quel coso non ci fu.
Avevano chiamato me perché io di mestiere faccio lo scienziato, nome altisonante in Italiano, ma di fatto un mestiere da disperato, almeno in Italia. Disperato perché non c’è un soldo per tenere in vita una ricerca e questo soprattutto se, come la nostra, di mia moglie e mia, è una ricerca che fa a cazzotti con interessi miliardari, interessi che portano con loro la devastazione dell’ambiente, l’unico che abbiamo e quello da cui nessuno può evadere. E portano con loro le malattie. E la morte.
È così che fare lo scienziato, quel tipo di scienziato, è disperante.
Noi, mia moglie ed io, lavoriamo non solo gratis ma a nostre spese e con le spese abbiamo dato fondo ai risparmi di due vite. Non importa: l’abbiamo scelto noi. Le nostre scoperte sono troppo importanti per mollarle e un maratoneta non molla. Abbiamo scoperto che le polveri degl’inceneritori, del traffico, delle combustioni in generale entrano nell’organismo e lì fanno il diavolo a quattro: malformazioni fetali, infarti, ictus… Cancro. Sì, cancro. Cancro anche per chi fa la vita sana del maratoneta perché il maratoneta respira l’aria che respirano tutti, beve la stessa acqua, mangia gli stessi cibi di chiunque.
Ma questo non si doveva sapere. E tante cose sono tenute nascoste anche se costituirebbero un vanto per una nazione che di vanti non ne ha poi da buttare. Mia moglie, la dottoressa Antonietta Gatti, è stata inserita dai nostri colleghi al livello mondiale tra i 32 scienziati più importanti del Pianeta. Chi tra chi mi legge lo sa?
Le nostre ricerche ostacolano business miliardari e, allora, ci portano via lo strumento fondamentale della nostra ricerca: un microscopio elettronico particolare con cui possiamo vedere le polveri, le micro- e le nanoparticelle, nei tessuti malati. Nei cancri. Anche in quelli dei maratoneti.
Tre volte siamo riusciti ad avere un microscopio, tre volte ce l’hanno portato via.
Simone lo sapeva. Quando si ammalò di quel cancro così apparentemente assurdo scrisse un libro. Bellissimo. Originalissimo. Simpatico e solare com’era lui che lottava sportivamente con la malattia e di tanto in tanto le dava un po’ di distacco. Mi chiese di scrivergli la prefazione e io lo feci. I proventi del libro li destinò a noi, alla ricerca che non riuscì a fargli tagliare il traguardo per primo. Il cancro lo aveva superato perché il cancro gioca sporco ma nessuno può squalificarlo perché lui non solo corre ma detta pure le regole.
Simone, però, è quello che si chiama il vincitore morale. Simone ha corso lealmente come ha sempre vissuto e mai, nemmeno quando il suo avversario giocava più sporco, Simone ha avuto una parola cattiva nei suoi riguardi.
Io, molto più vecchio di lui, curiosamente con lo stesso tempo in maratona, sono destinato a raccogliere una parte della sua eredità facendo di tutto per esserne degno. E la mia parte di eredità è l’impegno a non mollare perché noi maratoneti non molliamo mai. Noi, mia moglie ed io, continueremo a massacrarci in quella ricerca che non ha salvato Simone pur avendo salvato tante altre persone. Lo faremo ma abbiamo bisogno dell’aiuto di tutti, un aiuto che può apparire anche volgare come è quello di sacrificare qualche quattrino come investimento per il futuro, perché sempre in meno perdano la gara.
Nessuno è obbligato a farlo. Anzi, anche chi non darà un centesimo godrà dei risultati. Si tratta solo di essere leali.
Stefano Montanari
Nanodiagnostics
Via Fermi, 1/L
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Commenti

Unknown ha detto…
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